mercoledì 30 gennaio 2013

Texas Fried Redneck Chicken...

Bello quando un film ti piglia. Soprattutto adoro quei momenti di confronto, in spazi chiusi, senza musica, in cui la tensione sale e sai che da un momento all'altro succede un casino ma non sai quando. Quando dici ok, ho capito dove vogliono andare a parare, ormai tutti sanno, tutti sono stati smascherati, ma si sa che c'è gente armata e perciò finirà tutto in merda. E tu stai lì, incollato allo schermo, e non vedi l'ora che tutto si risolva ma sei teso perché non sai come inizierà la fine. Mi piacciono queste scene perché in un panorama cinematografico in cui tendo a dimenticarmi il finale dei film dopo due giorni che li ho visti, qui ti si piglia per la manina, ti si dice "vieni bel bambino che ti faccio vedere una cosa" e tu hai voluto vederlo quel film perciò sono cazzi tuoi.
Eh, ma bisogna essere in gamba per creare queste empasse, stalli alla messicana prima solo psicologici ma che di colpo diventano tal quali. E a mio avviso William Friedkin ce l'ha fatta.


Premetto che non ho mai visto la rappresentazione teatrale di Killer Joe, perciò mi rifaccio unicamente alla pellicola datata ormai 2011 (un bel 'fanculo alla distribuzione italiana... così... perché a intervalli regolari ci vuole).

Ora, la sinossi si trova ovunque in giro, ma è meravigliosamente riassunta in questo manifesto:


Già, Killer Joe, checché ne dicano alcuni archivi, non è una commedia grottesca né tantomeno un crime-drama. E' piuttosto un noir, o meglio un redneck-noir, cioè (semplificando un po' grossolanamente) ambientato nel macro-insieme dei cosiddetti "bifolchi del sud", quella sottocultura fatta di salopette unte e consumate, di trailer park, di un senso di lontananza dal sogno americano, di provincialotti orgogliosi e indipendenti, ma parecchio ritardati e in quanto tali terreno fertile per truffe, perversioni, raggiri di ogni genere.
Qui in realtà siamo in Texas, di solito escluso dall'elenco degli stati che compongono la cintura più redneck, ma il concetto non cambia.

E per capire le peculiarità di KJ niente di meglio che spendere due parole su regista e personaggi.

William Friedkin, sì proprio quello de L'Esorcista (wow!) e sì, pure quello de Il Braccio Violento della Legge (super wow!) ma non andiamo oltre perché ha fatto anche delle boiate pallosissime, è un arzillo regista classe '35... "sticazzi" direte voi. Già, ma tutta la sua esperienza affiora in questa trasposizione del testo teatrale di Tracy Letts.
Nel suo KJ tutto è meravigliosamente al suo posto, tutto funziona come un orologino elvetico, nulla è lasciato al caso, tutto fluisce senza intoppi e distribuendo tensione e comicità senza che il ritmo ne risenta.
Persino la presenza-non-presenza e il peso dei due personaggi chiave è reso magnificamente senza che questi due quasi mai si vedano, o si intravedano solo quando è strettamente necessario: il fatto che Rex non si veda mai in faccia è ammirevole e tutto era costruito così bene che si l'inquadratura del cadavere nel portabagagli mi è sembrata fin troppo didascalica, si poteva tranquillamente evitare. La faccia dei due che ci guardano dentro era sufficiente. Questo espediente del personaggio cruciale che non si vede mai è tipicamente teatrale.
Ma se nelle lunghe scene in cucina e nell'esclusione volontaria di un eccessivo numero di comparse si riconosce l'attitudine al palcoscenico della storia, Friedkin mette tanto cinema nella creazione della location, un Texas inospitale, che mi ricorda tantissimo il Kentucky della serie "Justified": il concetto di redneck, come dicevo sopra, sfruttato con consapevolezza dai personaggi perché fondamentalmente qui siamo fuori dal mondo e si può fare un po' quello che si vuole. Ed infatti solo Dottie nella sua semi-innocenza ci trova qualcosa di buono...

- Do you like Texas? [...] it's really just a bunch of goddamn hicks and rednecks with too much space to walk around in!
- It's warm...

Ma non solo, la genialità di KJ è che tutti sono cattivi, non esistono buoni nel vero senso della parola. Forse Friedkin, dall'alto della sua esperienza, pecca in posatezza e controllo, ma a tale freddezza compensa lasciando liberi gli attori di fare a gara per starci sul cazzo, chi più chi meno, chi in un senso chi nell'altro.

McConny è grandioso. Lasciatelo libero di sfogare il suo accento del sud, di mettersi un cappello a tesa larga  e ti tira fuori una delle sue più fighe interpretazioni. Alterna freddi e posati monologhi, scatti d'ira, dolci sorrisi che ricordano il McConaghey delle Rom-Com (- "Who would like to say grace?"... geniale...). Sarà l'ambientazione... Si vede che si sente a casa. Joe Cooper fa il poliziotto e per arrotondare ammazza gente a 25 mila dollari a botta. Che volete, c'è crisi. E non c'è il minimo accenno alla dubbia moralità della cosa. Che uno ammazzi la gente per soldi è da tempo antologicamente accettato soprattutto in campo cinematografico e videoludico. Può sembrare banale: in Killer Joe, incredibile ma vero, Joe è un Killer, ma non è cattivo perché fa un (secondo) lavoro un tantino illegale. Ma perché lui è intelligente, figo, scaltro, attento, e non appena capisce che ha a che fare con una massa di rincoglioniti coglie l'occasione per unire l'utile al dilettevole e sfogare una serie di fantasie che chissà da quanto gli frullavano per la testa. Anche l'inflazionata scena del "chicken-job" non annoia (che scandalizzi manco lo prendo in considerazione... è una figata memorabile!!!) se vista in quest'ottica: non è una punizione inflitta, è come se incidentalmente, mentre smascherava la baldracca, si sia ricordato di aver sognato quella scena da ragazzino e dicesse "già che abbiam fatto trenta...". Insomma Matthew riempie le scene, ma riesce magicamente a lasciare agli altri tutto lo spazio di cui hanno bisogno e i duetti degli altri attori con lui sono il nervo della pellicola.

Advertising spaces...
Emile Hirsch è odioso e antipatico come la merda molle. Il suo personaggio evolve verso una prevedibile autodistruzione, resa visivamente dal crescendo delle botte che riesce a prendere. Insieme a Juno Temple ci regala l'unico momento di dolcezza della storia, con la passeggiata lungo le rotaie (simbolo di solito di spensieratezza giovanile) e per un attimo forse facciamo il tifo per lui, empatizziamo un minimo... ma no, sua sorella persa nel suo mondo ci riporta nella realtà e ormai è troppo tardi. Ci sta sul cazzo e basta. Ha messo in piedi un casino della madonna e ancora non si rassegna. Fa il figo. Ma non ci si rende conto di quanto sia odiato proprio da tutti fino al magico momento della zuppa di zucca in scatola...

Veniamo su a Gina "MILF" Gershon. E' ammirevole quando un'attrice non ha paura di presentarsi vera e sfatta, di interpretare una che si chiama Sharla, che potrebbe essere la classica ex-reginetta di bellezza dell'High-School che non è riuscita ad andarsene dal paesello, è invecchiata, si trascina qualche aggiustatina estetica fatta male, fa ancora la cameriera in una pizzeria, s'è sposata un troglodita e lo tradisce con uno più bello (?) e intelligente, perché in fondo non vuole ancora mollare, una speranza di cambiare vita ce l'ha. E nonostante questo è bella, di una bellezza che è tipica del luogo in cui si trova, del posto che occupa. Ma anche lei non è un personaggio positivo... e si tradisce malamente quando si scontra con la scaltrezza di Joe, un antagonista fuori dalla sua portata. Il suo "duetto" con Matthew è uno dei momenti migliori del film e mi riferisco anche al prima e al dopo, non solo al famoso "durante"...

Thomas Haden Church è il più lineare di tutti, ma riesce a non scadere nella macchietta, nonostante il rischio fosse grosso. Siamo ancora al discorso sull'esperienza, lui ce l'ha e si vede. Ansel è stupido, lento, capisce la portata del piano ma diffida perché il rischio più grosso sarebbe quello di perdere il suo status quo di mediocrità che sembra andargli anche bene. In fondo ha una moglie incredibilmente gnocca, ha tanta birra, ha un tv al plasma in cui guardarsi le gare dei Big-Foot... e mi fa morire quando proprio queste lo distraggono dal discorso di Joe costandogli caro. Ed è proprio Haden Church, con la sua barbetta che cresce un po' a cazzo a regalarci i migliori momenti comici.

Ed infine la Temple. Forse l'unico personaggio non propriamente cattivo, ma inquietante nel suo capire sempre tutto e tutti, nel conoscere sempre i piani e i sotterfugi nonostante la si tenga all'oscuro, ma in fondo inutilmente perché non se ne cura più di tanto. Dottie è un personaggio delicato e la Temple ne indossa i panni magistralmente, buttandoti lì una lolita tutta sua, gestendo le nudità e il rapporto con Joe in maniera disarmante. E la sua scena di sesso con McConaghey è... cazzo è la sua scena di sesso con McConaghey. Va vista. Mai immaginato che uno potesse scoparsi così la propria caparra...
Piccola nota: il personaggio di Dottie NON ha 12 anni, lo dice perché fa parte della fantasia in cui lui la guida in seguito al racconto di lei sul suo fidanzatino di scuola. Per esserne certi riguardatevi più volte quel momento... cosa non si fa per la correttezza narrativa!!! ;-P

Happy Southern Family. You can see it in their faces!
C'è tutto. C'è un po' dei Coen, un po' di Vincent Gallo, un po' di Tarantino, ma siccome Friedkin faceva cinema mentre i suddetti ancora se la facevano nei pannolini vedete un po' voi chi ispira chi. C'è la dissacrazione di tutti i simboli americani. C'è la patata di Gina Gershon, il culo di Matthew, Juno Temple nuda e Thomas Haden Church con uno di quei pigiamoni bianchi tipicamente sudisti. C'è una storia, c'è sesso, un po' di sangue (la maggiorparte sul personaggio di Chris, quindi va benissimo), c'è tensione, ci sono risate cattive.

Un film cazzuto, pieno, bello. Non per tutti, ma per noi sì!!!

McConny e il suo pistolone...

martedì 29 gennaio 2013

Scatenato... e la "D" è muta...


Certo che parlare di Django Unchained è davvero difficile. Soprattutto a botta calda. C'è troppa roba in quei 146 minuti e tutto è come sempre studiato con tale precisione da Tarantino (che è diventato la custodia di sé stesso) che è arduo persino azzardare commenti tecnici.
Egli è bravo. Punto. Ai suoi fan piace da morire e se lo fanno piacere pure quelli che normalmente non se lo cagano di pezza perché Tarantino è cool (poi spiego meglio questo concetto). Io appartengo alla prima categoria, quindi DU mi è piaciuto, mi ha esaltato, è fichissimo e tantarobba.
Di certo è UN capolavoro. La fotografia non è mai ripetitiva, mette dentro sia le sue zoomate veloci e i movimenti convulsi di camera, sia i suoi piani fissi leggermente decentrati che non si spostano di un millimetro durante un monologo di 5 minuti. Gli attori, chissà perché con lui non si risparmiano e tirano fuori tutto quello che possono dare: Waltz si sa che è bravo e di riflesso Foxx che mi è sempre stato sulle balle ti tira fuori un personaggino davverio Tarantiniano che da lui non mi sarei aspettato. Di Caprio e Samuel L. Jackson entrano di prepotenza e rubano la scena agli altri due buttando lì due villains che è amore a prima vista. Le musiche sono perfette, sparate a palla, varie e scollegate tra loro in maniera disorientante, dal rap alla inedita e bellissima "Sono qui" dell'accoppiata Morricone/Elisa, passando attraverso colonne sonore anni'70, soul funk e chi più ne ha più ce ne metta.
Insomma, a feckin' good movie by Tarantino.

Diamo atmosfera alla vostra piacevole lettura:



Che sia IL capolavoro di Tarantino, beh... secondo me no. Quello rimane i Bastardi. DU non è esente da qualche difettuccio di ritmo nella prima parte, la storia decolla veramente solo quando entra in scena Di Caprio e qualche magagna di montaggio si nota molto più che nelle altre sue produzioni, considerando anche che questa non voleva essere grindhouse.
L'evoluzione del personaggio di Waltz mi è sembrata un po' forzata e l'attore (seppur grandioso, intendiamoci) ricade un po' troppo spesso nel Colonnello Landa, mentre Django un'evoluzione vera e propria non ce l'ha, ma forse va bene così perché lui è incazzato e deve fare brutto perciò sticazzi.
Però via, di certo sta sopra Jackie Brown, Kill Bill vol.2 e Death Proof, ma metterlo in cima mia classifica Tarantiniana personale... per ora non se ne parla.

Ci tornerò su dopo averlo rivisto un paio di volte, ma soprattutto dopo averlo visto in lingua originale, perché come i fan di Tarantino ben sanno, i giochi con gli accenti e con i differenti idiomi sono parte integrante dei dialoghi e degli scambi tra i personaggi.
Nota a margine: o si cambia doppiatore a Di Caprio, oppure Pezzulli si compri delle mutande più larghe perché ha tirato di nuovo fuori la vocina da bambino fighetto... cazzo, ma in Inception non era male, perché qui dobbiamo avere un cattivo coi contro coglioni con la STESSA IDENTICA voce, cadenza, accento e frivolezza di Jack Dawson? Pronto? Pezzulli? Quello è affondato col Titanic... scendi di un paio di toni, grazie!

- Leo, sai che in Italia ti faranno parlare come sul Titanic?
- No, non penso proprio, dammi retta. Ti fidi di me?

Più che altro la visione del film mi ha stimolato la voglia di andare al poligono di tiro e qualcos'altro che ora non ricordo... ah sì, vero... anche un paio di riflessioni di quelle serie serie serie.

RIFLESSIONE 1: DEL GIORNALISMO OCCASIONALE (ovvero DELLE MODE ACCAZZO)
Avrete notato tutti che attorno  a DU s'è creato un hype della madonna, esagerato, soprattutto trattandosi di Tarantino. Cioè, tra i fan è normale, i Tarantinisti (Tarantiniani? Tarantati? Aperitaviti? Aperitivi?) normalmente si trovano al pub, ordinano "un cazzo di bianchino" e se la raccontano con lo sguardo fisso nello specchio dietro al bancone del bar, con assoluta calma.
-Oh, esce il nuovo cazzo di film di Tarantino.
-Mh mh. C'entra tipo la seconda fottuta guerra mondiale.

-Raga, Tarantino fa un cazzo di fottutissimo western.
-Fico.

E se non finisce con una sparatoria la cosa muore lì. Perché noi si dà per scontato che comunque vada sarà una figata.
No, l'hype a cui mi riferisco e a cui facevo cenno in apertura di post è quello da parte del cine-giornalismo di massa. Avete presente quella gilda di eletti che non perdono occasione di usare gli aggettivi "visionario" oppure "controverso" e che ultimamente ficcano "Avatar" anche dove non c'entra un'ostia (giusto per dire "sono laureato in cinema realista ma ho visto anch'io il film di quel visionario e controverso che non è altro di Cameron. E l'ho visto in treddì")? Ecco, di colpo si sono messi in fila per gridare "al capolavoro" in occasione dell'uscita di DU.
Ora, tutto ciò ben venga, perché significa solo più pubblicità = più soldi = Tarantino ricco = Tarantino sempre più grasso = Tarantino che fa ancora tanti film e noi siamo bimbi felici.
Però, quei simpatici signori sono gli stessi che hanno sempre relegato la Band Apart nell'angolino dei cattivi che fanno filmetti scemi e violenti. Già, com'è che non si parla più della violenza? Addirittura qualcuno lo giustifica definendola "funzionale al profondo messaggio contro lo schiavismo". Ma oh, ma che cazzo dite? Tarantino che usa la violenza in maniera funzionale? Maquandomai???? Minchia ma siete gli stessi che c'avete fratturato il pene per sei mesi con quella palla colossale (visionaria e controversa) di "The Tree of Life", che manco Sky Cinema l'ha passato per troppo tempo perché ad un certo punto si spegnevano i decoder dalla noia?


SOPRA: [...]le dinamiche narrative sono meno epiche, ma hanno una maggiore robustezza drammatica, le inquadrature sono meno debitrici nei confronti della tradizione, il citazionismo sfrenato delle origini si è stemperato parecchio [...] (cit.)

E i migliori sono quelli che individuano una crescita del regista che "asciuga" le scene di violenza dimostrando che gli riescono bene anche le sequenze "dialogiche". Eh? Ma ti sei mai abbassato ad ascoltare di nascosto noi nerdoni quando discorriamo del cinema "pulp" come lo chiamate voi? Tarantino è SEMPRE stato bravo nelle scene "dialogiche", sono quelle che fanno la differenza, così come il perfetto ponte di tensione che creano prima delle parti più action. Cazzo sappiamo a memoria tutte le battute di Pulp Fiction perché quel film è fatto di dialoghi, di "pulp" nel senso che lo intendete voi (cioè teste che esplodono) ce n'è veramente poco. Eppure per noi resta comunque un capolavoro, mentre per voi 154 minuti di monologhi a telecamera fissa vengono spazzati via da un colpo accidentale che fa saltare la testa ad un ragazzino.
Sapete che è successo? E' successo che l'altra volta hanno snobbato con tanto di gesto della mano e occhietti socchiusi i Bastardi, per poi rendersi conto leggiucchiando qua e là nei forum underground di settore che era un cazzo di capolavoro e però ormai non potevano fare la figura di merda svegliandosi a posteriori. Allora hanno aspettato al varco Django per non farsi sfuggire l'occasione di strillare "Urrà! Bravò!" prima di tutti gli altri. Perché ora fa fico parlare bene di DU e così poi qualcuno può fare il sottile e parlarne male così va in controtendenza e desta attenzione. Perché adesso guardare i film di Tarantino è roba colta e profonda e ci leggi di quelle analisi che boh! Dove ce la vedano tutta quella roba lo sanno solo loro. Ma dopotutto la vedevano pure nei 12 minuti di bambino sull'altalena di Malick...
Già vedo la quote sui cofanetti blu-ray: "Uno spaghetti-western visionario e controverso... e Avatar."
Che poi... la musichina finale e Django che fa il pirla a cavallo (se voleva essere un omaggio a Trinità, faceva veramente cagare, caro Quentin...) sono forse l'unico vero omaggio agli speghetti-western, per il resto il film si sviluppa nelle piantagioni del sud e di cow-boy nel senso cinematografico del termine ce ne sono proprio pochi. Non a caso ...ti chiameranno "la pistola più veloce DEL SUD".

RIFLESSIONE 2: DEL NON RISPARMIARSI
Ma in fondo, perché a noi tamarrini piacciono tanto i film di Tarantino, così come quelli di Rodriguez (tranne Spy Kids che è una serie di merda)?
Perché quando decidi di fare un film tamarro la regola per il successo è NON RISPIARMIARSI. Tarantino, come altri, non si ferma, ci fa vedere tutto quello che lui (in quanto tamarro senior onorario) vorrebbe vedere sullo schermo. Mi spiego: se decidi di esagerare, esagera! Non ha senso preoccuparsi di piacere un po' a tutti, di dare il contentino a chissà chi ciondolando tra il gore e la roba seria. Hai un'idea, vuoi fare casino sullo schermo, vai e facci uscire dalla sala stanchi e sfiniti, ma con il cuore a mille e facendoci sognare ad occhi aperti una sparatoria nazisti-contro-zombie-contro-fighemezzenude all'interno dell'Old Wild West di Rozzano.
Django Unchained NON è uno spaghetti-western, NON è un film sullo schiavismo pre-guerra civile americana, NON è un film sui diritti umani o un inno contro le differenze etniche (checché ne dica quel razzista di Spike Lee, bravo bella figura di merda). E' un film con gente a cavallo, e a volte a piedi, che si spara con spruzzi di sangue alti quattro metri, in un turbinio di citazioni e anacronismi fortemente voluti. Lo stesso Tarantino s'è messo a parlare del sangue di milioni di neri sui campi di cotone, durante le interviste, ma è solo per dare un contentino all'esaltazione dei giornalisti di cui parlavo sopra. Per carità, sono tematiche importanti, ma non è questa la sede. Il nostro regista è un bambino che quando vedeva i "western" al cinema pensava che sì, belli, ma c'è poco sangue e non si vedono i buchi dei proiettili e quando sarò grande li farò come dico io! Un po' come quando i miei amici ed io da regazzini sognavamo un unico film con dentro Schwarzy, Sly, Dolph Lundgren, Van Damme, Chuck Norris e Bruce Willis tutti assieme ( e c'hanno accontentato!!! Per due volte gesùddìo!!! :-P)
E tutto questo trova conferma nella scena finale, in cui non c'è un riscatto vero e proprio, non c'è una logica o un cerchio che si chiude. C'è la tabula rasa come in tutti i suoi film. Con un paio di sopravvissuti giusto per gradire.
E' questo che vogliamo, è per questo che ci piace Tarantino. Non vogliamo didascalie, non vogliamo spiegoni inutili. Se c'è da sparare che si spari, se c'è da menare che si faccia a botte sul serio, se c'è sangue non devono essere gocce, ma secchiate. Non trattenetevi, sappiamo che non è facile perché è un mondo in cui il confine tra il nostro eterno amore e la puttanata da dimenticare è invero più sottile che in altri generi.
Ultimamente il cinema soffre molto di queste "paure", della necessità di piacere a tutti e di spiegare bene tutto a tutti, di essere violenti, ma non troppo perché sennò la violenza è brutta e cattiva e poi il sangue è uno di quegli elementi che più pesa sul rating (pensate ai 3 Dark Knight di Nolan... non si vede nulla di rosso in 6 ore complessive di film...).
Non dimenticate che tanto poi siamo noi tamarri che verremo avedere i vostri film, perché gli altri non vi cagheranno comunque di striscio. E questo Tarantino lo sa e sono certo che per dispetto a tutta questa attenzione mediatica il suo prossimo lavoro sarà ancora più visionario, controverso e anche un po' Avatar.

Ricordatevi che c'è sempre un problemino: per accontentare tutti si finisce per non accontentare nessuno, no????

;-)

venerdì 11 gennaio 2013

Cavallo (goloso) da guerra

Steven spiega ai commensali come l'unione tra un cavallo secco e un ragazzo del Devon
possa simboleggiare l'amore che supera le barriere imposte dagli orrori della guerra.

Prima Baseball Bat per Spielberg. Sì, mi spiace ma è così... e per ben due ragioni.
La prima è perché mi illudi col trailer di un film di guerra e poi mi spari 140 minuti di ragazzino+cavallo affetti dalla sindrome Disney, quella malattia a causa della quale un essere umano si lega inspiegabilmente ad un animale di qualunque phylum, creando una situazione tale per cui i due si intendono al volo, si leggono nel pensiero e sui titoli di coda si sposano e mettono su famiglia. Non solo, ma né l'equino né l'umano bucano particolarmente lo schermo, i personaggi secondari sono di un'inutilità imbarazzante, l'odissea alla fine si conclude senza davvero coinvolgere mai sul serio, i titoli di coda partono dopo un contro-luce al tramonto che fa rimpiangere quello di Via col Vento che era fatto meglio.
La seconda è perché mi illudi col trailer di un film di guerra. Punto. Cioè, ma sei lo stesso tizio che con Tom Hanks prima e una mini-serie memorabile poi, ha insegnato a TUTTI come si girano i "fimm-de-guera"? Quello che ha spalmato cadaveri di soldati sbudellati per tutta la Francia, che sporcava le telecamere con gli spruzzi di fango e che faceva fischiare le orecchie al pubblico se scoppiava un colpo di mortaio troppo vicino? Quello a cui dobbiamo l'esistenza di Medal of Honor e Call of Duty?
Oppure c'hai nel tuo libro paga qualche ghost-director? No, proprio no... stavolta ci hai fregato... la carica della Cavalleria è grottesca (oltre che tatticamente poco credibile), la corsa nella NoMan'sLand è basilare e girata con un moscio scorrimento orizzontale che da Spielberg proprio non ci si aspetta, caruccia la citazione del Joyeux Noel, ma è solo una pretestuosa forzatura per riportare il cavallo dietro alle linee inglesi.
E poi ci sono i soldati tedeschi che tra di loro parlano in inglese con accento tedesco... e lo stesso accade  per i contadini francesi che parlano ai soldati tedeschi in inglese ma con accento francese... No dai, scherziamo??? Ma che è, un cinepanettone???
Mah...

Steven, non sono certo che i diciassettenni tedeschi di inizio secolo parlassero in inglese tra di loro...

Per lo meno c'è Tom "Un Dio Gracile" Hiddleston, ma muore subito... o meglio, prima c'è lui a cavallo e poi c'è cavallo senza lui, perciò si va presumendo il decesso del suddetto.

Epic fail... :-(

giovedì 10 gennaio 2013

tre e quattordici...



Lo so, si era partiti con l'idea dei film tamarri, con le pistolettate e gli scoppi, ma visto che era da un po' che non andavo al cinema ne approfitto perché 'sto filmone merita. E poi ci sono gli squali, gli animali feroci e navi giapponesi che affondano, perciò i suoi motivi per stare qui ce li ha. Detto questo andiamo avanti.

Ang Lee lo si conosce via, è quel taiwanese col sorriso simpatico che stava dietro la presa quando davanti passavano giganti verdi in split-screen, Hugh Grant ficcato in qualche modo in un romanzo della Austen e una coppietta di cow-boy moderni... molto moderni. Ma soprattutto ha schiaffato in faccia al grande pubblico quello che in oriente era una realtà da tempo: un tipo di action movie per noi nuovo, presentatoci senza il bisogno di contaminarlo per paura che non lo comprendessimo (come aveva fatto comunque con ottimi risultati il buon Jackie Chan).

E visto che il buon Lee si diverte a passare di palo in frasca, eccolo che ci regala qualcosa di ancora diverso, strizzando l'occhio a Bollywood ma destinando come sempre le sue opere a tutti, puntando al grande pubblico.
Per film di così larga distribuzione non sto qui a spiegare la storia, sinossi e spoiler si trovano un po' ovunque, preferisco buttarmi a pesce (non a caso) sulla pellicola.
Incuriosito da alcune particolari immagini che si intravedevano nel trailer, avevo un po' paura che il ritmo non fosse granché. Insomma, timore giustificato: Ang Lee, una scialuppa in mezzo al mare per tutto il film, i presupposti non erano rassicuranti. E invece, come spesso accade, ci si ricrede. La storia si presenta come un flashback narrato a voce dal protagonista ad uno scrittore piombatogli in casa per motivo vario ed eventuale e il film si sviluppa proprio con quel ritmo: quello di un racconto a voce, regolare, alternando passato e presente senza troppa regolarità e quindi senza annoiare. Lee si prende un bel pezzo di pellicola per caratterizzare tutti i personaggi, dando loro lo spessore dovuto, ciascuno col suo piccolo o grande contributo alla formazione di Pi. Andando controtendenza regala alla tigre solo una breve scena, guardandosi bene dal legare troppo Pi agli animali dello zoo, evitando così l'effetto "Disney": Pi non è un bambino speciale con il dono di capire al volo degli animali, è un normale ragazzino indiano che legge fumetti con le divinità indù, con la fissa della religione e che lo scoglio più difficile che ha dovuto superare è stato imparare a memoria tre lavagne di cifre decimali del Pi greco pur di sopravvivere agli sfottò dei compagni di scuola.
Lo stesso dicasi per Richard Parker (il felinone): per quanto romanzato non è un esemplare unico, ma una normale tigre che deve essere ammaestrata e che in più occasioni non disdegnerebbe di mozzicare il suo compagno di avventure. Tutto questo evita quell'effetto Disney che accennavo sopra, cosa che per esempio ha reso inguardabili i 140 minuti di War Horse (a cui devo dedicare un mini-post a parte per togliermi un sassolino dalla scarpa...).
La cosa sconcertante è proprio che la parte forse più lenta è proprio la prima: andrebbe visto senza sapere nulla, perché l'attesa del naufragio rende impazienti e perciò non si aspetta altro che si arrivi al dunque. Ed è un peccato perché l'ambientazione nell'India francese ha tutto il suo perché.
E quando finalmente ci ritroviamo sulla scialuppa la voce narrante del Pi adulto diventa quasi del tutto assente sostituita dai pensieri del Pi naufrago, furbo espediente che ci fa dimenticare di trovarci in un flashback e ci regala totale immersività.

Due aspetti restano nel cuore e rendono "Vita di Pi" un prodotto tutto particolare.
La prima è la piacevolissima ironia spalmata con maestria per tutta la pellicola: si sorride e si ride più di quanto ci si aspetti e le trovate spesso non sono banali, ma sottili, a volte surreali e spesso giocano sull'indianità tipicamente Bollywoodiana su cui si regge la storia. I giochi sui nomi dei due protagonisti, lo zio iper-toracico, le esplorazioni religiose di Pi, una godibile leggerezza che ci segue persino sulla sciluppa, senza però che venga minimamente compromessa l'empatia dello spettatore con i naufraghi e l'immersività nelle scene più toccanti.

La seconda sono i meravigliosi quadri che Lee si è preso la libertà di creare, anteponendo le esigenze narrative e simboliche al realismo. La scena della calma piatta all'alba, il plancton bioluminescente, l'isola dei suricata, giusto per citarne alcune, creano una pausa artistica e fiabesca che spezza la tensione e resta piacevolmente impressa nella memoria. Per chi ama il mare e i relitti come il sottoscritto, poi, l'inquadratura di Pi a mezz'acqua illuminato dalle luci della nave che affonda, beh, mozza davvero il fiato.

Tanta robba, neh???

Tra l'altro devo ammettere che una volta tanto il 3D non mi ha dato fastidio: c'era solo quello (scherziamo? C'era da lasciare spazio alle stra-cazzo di commedie italiane pagate coi soldi nostri...) quindi mi sono trovato costretto a inforcare gli occhialini, ma le inquadrature poco sature e pulite di Lee rendevano benissimo. Nono solo, la luce era opportunamente caricata nelle scene notturne e i piani erano quasi del tutto appiattiti nelle scene al chiuso e nei primi piani, tanto che si potevano guardare senza occhiali. Così si fa! Se dobbiamo sorbirci ancora 'sta mania inutile, almeno cari registi gestite la cosa come si deve!

E giusto per precisare:
Sì, c'è tanto mare e tante creature marine. La CGI c'è e si vede pure un tantino troppo qua e là, ma è funzionale al racconto e chissene perché è bella vera.
Sì, c'è la scena di ballo. Ci sono gli indiani, quindi a un certo punto ballano, come potrebbe essere altrimenti. Però non è un frammento di musical messo accazzo, ha una sua logica.

Ecco, non così, per capirci...

giovedì 20 dicembre 2012

L'Alfa e l'Omega

Aspettavo giusto un'occasione succulenta come questa (nonché un po' di tempo libero) per aprire ufficialmente questo mio spazietto dedicato al cinema.

Ormai sembra più che ufficiale: Gondry si sta sbattendo un botto per portare sul grande schermo niente po' po' di meno che il mio amatissimo "Ubik"!!!! Già, ci siamo.
Tutto vero, c'è pure una specie di poster official:



Ora è un po' prestino per trarre conclusioni e sono talmente fissato col libro che sarà dura rimanere imparziali. C'è di buono che sono sempre clemente con gli adattamenti: dopotutto un libro prende una forma diversa nella testa di ciascun lettore, la cosa importante è che chi porta il tutto sullo schermo dimostri di aver amato il libro stesso. Vedremo.

L'unica cosa è che confidavo molto in Linklater. Il suo adattamento di A Scanner Darkly è sicuramente uno dei più riusciti. Fedele, ispirato e soprattutto profondo. E poi attori visibilmente carichi e divertiti (soprattutto Downey Jr e Harrelson) e la scelta del rotoscope che da un lato è stata una puttanata perché ha tagliato fuori tanti potenziali spettatori laici mentre dall'altro è stato un colpo di genio perché da vedere è davvero fichissimo tipo che (appena occhio e cervello si abituano) ti manda a male perché con tutto quell'acquerello i deliri di Arctor & pals si fondono con la realtà alla perfezione e diventano indistinguibili.
Senza parlare dello scoglio della tuta disindividuante... meglio di così forse non si poteva rendere.

Però Linklater, che s'era mosso per accaparrarsi l'onere/onore di Ubik, non ce l'ha fatta a trovare produttori, Gondry pare di sì. Vedremo. Di certo quest'ultimo ha dimostrato di sapersi muovere su piani onirici e reali sovrapposti e Ubik è tutto in quello: i più famosi sono l'Eternal Sunshine e l'Arte del Sogno, ma se il primo è scuola vera, il secondo è inguardabile e troppo (ma davvero TROPPO) francese. E Green Hornet... boh! Bellino perché è uscito vicino a Green Lantern che faceva più cagare, ma così così perché è uscito vicino ad altri super eroi che spaccavano molto d più (tra cui Kickass e Super, scusate se è poco).

 Aspettiamo pazienti... intanto visto che Linklater ha celebrato a dovere uno dei dialoghi più divertenti e surreali di Dick (quello sulla bicicletta a 15 rapporti), spero che Gondry non si faccia sfuggire l'occasione di riservare un mega close-up al foglietto più fico della letteratura sci-fi (e forse della letteratura in generale):

"Io sono vivo, voi siete morti. Buttatevi nel cesso"